Perché la vita? Domanda centrale, domanda vitale, domanda repressa, domanda soffocata, domanda insensata per alcuni!

È una domanda da non porre in pubblico in un’epoca priva di senso e presa da altri problemi inerenti il “come” delle cose e non il loro “perché”. La nostra epoca tecnica e scientifica curiosa di tutto, aperta sull’universo siderale come su quello molecolare, ficcanaso, meticolosa, osservatrice del minimo dettaglio di ogni cosa, resta tuttavia tragicamente estranea a questa domanda.

Il senso della vita, il perché della vita, è eluso e non si pone se non in seno ad alcune cerchie chiuse di filosofi infatuati di speculazioni metafisiche, o da questi emarginati dalla modernità che sono i musulmani e qualche altro popolo “sfasato”.

Il positivismo è l’unico modo di pensare nella società moderna: esiste solo ciò che i sensi percepiscono! Oltre al palpabile, al concreto e al materiale non esiste nulla. Tutto ciò che non è scientificamente verificabile e misurabile è solamente congettura.

Le domande antropocentriche che cercano un senso alla vita sono la prova tangibile di un’arretratezza mentale! Il campo della ricerca scientifica s’interessa all’utilità funzionale delle cose e all’efficacia della loro organizzazione, non a futili divagazioni sull’inconoscibile. L’uomo moderno sembra rassegnato a una vita priva di valore, rassegnato al tragico epilogo di una morte fatale che metta fine a una vita senza scopo.

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L’uomo moderno si aggrappa alla speranza di prolungare la sua vita, di godere di una salute migliore e di una vita migliore grazie al progresso materiale, ed elude accuratamente la domanda essenziale. Egli inganna la sua angoscia divertendosi per dimenticare ed evitare di far fronte all’evidenza dell’inevitabilità della sua propria morte. Perché vivere allora se la vita è solamente un’assurda coincidenza, e se dopo la vita non c’è altro che la morte e la putrida tomba? Tanto vale suicidarsi subito!

Nelle società post-moderne, le comodità possono reprimere la domanda essenziale, come anche la miseria può farla dimenticare; ma niente può sopprimerla del tutto, dato che vive nelle viscere di ogni essere umano, che sia capace di formularla o meno. Ritorna sempre, straziante, pressante, esigente una risposta.

In fondo a ogni coscienza risiede, in qualche angolo intimo, l’attesa di una chiamata, di una voce caritatevole che ci annunci che la nostra esistenza ha un significato al di là della semplice presenza vegetativa nel mondo. 

Anche se la cultura moderna è terribilmente agitata e invadente per il baccano che produce, la natura, la nostra natura primaria, la coscienza che sta alla base del nostro essere più intimo, non sarà mai totalmente convinta che siamo in questo mondo per nessuna ragione di fondo. 

In fondo alla coscienza umana, vi è una tensione che ci spinge verso qualcosa che sta al di sopra, verso lo spirito. Tale tensione può indebolirsi e cadere in sincope, ma non muore mai. Può essere assordata fin dall’infanzia e resa incapace di sentire il richiamo esterno, o accecata da una determinata educazione e da una determinata cultura, ma non morirà, si ritirerà in qualche angolo buio e segreto della coscienza dell’uomo moderno.

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A sinistra del palco: la cultura greco-romana brilla con tutte le sue luci, ormai unico punto di riferimento ufficiale di una civiltà in rottura con le sue radici spirituali. Il corpo, la bellezza dell’atleta e della donna regina di bellezza, insieme alle prodezze del campione olimpico, sono i valori certi della nostra epoca. 

A sinistra del palco: repressa e soffocata, la domanda naturale sul senso della vita, cerca risposta nella notte dei laboratori specializzati e in seno alle sette clandestine che hanno donato se stesse a Satana.

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